Anche chi non è avvezzo al mondo del Vino ha spesso parlare di “Supertuscan”. Ma di che tipo di vino parliamo? Qual è l’origine di questo termine e cosa significa realmente? Tutto ha inizio negli anni ’80 quando il mondo si alza in piedi per applaudire un capolavoro assoluto, un vino italiano di cui da diversi anni si sente parlare ma quasi mai, soprattutto nelle versioni sperimentali, è uscito dai cancelli della tenuta in cui viene prodotto, ovvero la Tenuta San Guido di Bolgheri in provincia di Livorno. Siamo più precisamente nel 1985 e il Sassicaia del Marchese Mario Incisa della Rocchetta, che recita in etichetta come denominazione “vino da tavola di Sassicaia” da uve Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, viene eletto miglior Vino del Mondo. Nascono un mito e una nuova epoca per i vini toscani e italiani. Quella dei “SuperTuscans” è una strana storia fatta di contraddizioni, innovazioni e consapevolezza che le memorie di questa regione dovevano e potevano essere ridisegnate attraverso vini che sarebbero stati amati e odiati al tempo stesso. Vini che hanno avuto il coraggio di sfidare il mondo enologico in un momento storico in cui tutto era possibile, perché la storia che stiamo per raccontarvi ha permesso all’Italia non solo di confrontarsi con il grande panorama enologico mondiale, ma di far conoscere la nostra terra, in particolar modo la Toscana, anche sotto il profilo turistico, aprendo agli amanti del Vino di tutto il mondo un percorso enogastronomico che ha reso questa regione tra le più affascinanti e visitate al mondo. Questa storia coincide inizialmente con quella di Ricasoli. Siamo nel 1872 e il Barone Bettino Ricasoli, grande appassionato di vini, intuisce che il Sangiovese è per la Toscana l’uva a bacca rossa con più potenzialità, appartiene al patrimonio ampelografico della regione e sostanzialmente è anche l’uva più coltivata. Secondo il Barone, però, solo attraverso l’aggiunta di Trebbiano o Malvasia Toscana per donare maggiore acidità, oltre al Canaiolo per conferire colore e dolcezza, il Sangiovese raggiunge la perfezione assoluta. Nasce così la prima ricetta del Chianti, denominazione che farà la storia di questa regione insieme al Brunello di Montalcino.
La ricetta è considerata perfetta e nessuno osa apporre modifiche alle idee del Barone e tutta la denominazione rimane schiacciata nella morsa della stretta regolamentazione sulle uve utilizzabili anche se, dopo quasi un secolo, qualcuno inizia a non sentirsi più a proprio agio all’interno della denominazione. È proprio qui, dentro il cuore del Chianti Classico e in aree considerate per i tempi geograficamente estranee alla grande qualità del vino di Toscana, che una serie di produttori, con molto rispetto, iniziano ad avere idee differenti sul taglio del disciplinare e a intuire che il Sangiovese, in fin dei conti, migliorerebbe se al posto della Malvasia e del Canaiolo si potessero utilizzare altre varietà, magari estromettendo completamente le uve a bacca bianca e puntando su quei vitigni molto famosi in Francia, nel Bordolese, come i famosi Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc. Nascono quindi due movimenti produttivi paralleli: i “Nuovi Illuminati”, che apportano sotto la denominazione “vino da tavola”, successivamente trasformata in IGT (indicazione geografica tipica), una serie di esperimenti dove il Sangiovese viene “inquinato” da vitigni francofoni o addirittura dove il Sangiovese scompare totalmente, come appunto nel Sassicaia, e i “Tradizionalisti”, per i quali la ricetta Ricasoli rimane un punto fermo per l’enologia chiantigiana che rappresenta l’estrema qualità della regione. Esiste però anche un altro fattore non indifferente che distingue gli Illuminati dai Tradizionalisti e che ne determinerà negli anni a venire soprattutto il successo commerciale: l’uso delle barrique, i fusti piccoli, anche questi provenienti da Bordeaux. Ma torniamo allo scontro tra ”Illuminati” e “Tradizionalisti”. Anche sul disciplinare del Chianti la battaglia è accesa, infatti i Tradizionalisti iniziano ad accorgersi che l’aggiunta di quel vino bianco non è poi così in linea con i tempi che corrono (siamo alla metà degli anni ’80) e che forse conveniva lavorare un Sangiovese in purezza, mentre gli Illuminati vorrebbero un restyling totale e più moderno, ovvero l’introduzione anche nelle denominazioni Chianti e Chianti Classico di uva a bacca rossa come per esempio il Cabernet Sauvignon. La battaglia dura tanto ed è estenuante, ma nel 1994 si riesce di comune accordo a mandare in pensione il vecchio disciplinare e si rende possibile la produzione del Chianti Classico anche con 100% di Sangiovese eliminando il vincolo di utilizzo di uve a bacca bianca. È una vittoria per i Tradizionalisti, o almeno così sembra, ma nel 1996 la denominazione viene invece ritoccata definitivamente e nella ricetta di oggi viene consentito l’utilizzo di un 20% di vitigni a bacca rossa tra quelli autoctoni, come il Canaiolo e il Colorino, e quelli “internazionali” come il Cabernet Sauvignon e il Merlot, raccomandati e/o autorizzati nella zona di produzione. Bene, questa era la doverosa premessa storica per capire quando e come ebbe inizio tutto ma, tornando al nostro protagonista, il SuperTuscan, cerchiamo anche di capire come nasce il termine che lo “etichetta”. Con tutta probabilità, ma le fonti non sono così certe, viene coniato verso metà degli anni ‘80 dal guru Robert Parker, critico enologico americano che apprezzò particolarmente questo stile di vino e gli permise di avere un incredibile successo commerciale soprattutto negli Stati Uniti grazie ai suoi punteggi altissimi. Questi vini non passano assolutamente inosservati neanche in Francia, patria elettiva dello stile che la Toscana si appresta a sviluppare, evento questo peraltro particolarmente bizzarro considerando la poca simpatia che i nostri cugini d’oltralpe nutrono per noi. Sono dunque ritenuti SuperTuscans, e fanno parte di questa categoria, i vini prodotti in questa regione che utilizzano principalmente uve quali Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Syrah. Esiste anche una ristretta cerchia di vini considerati SuperTuscans prodotti con 100% Sangiovese, ma che rispecchiano lo stile di vinificazione ed evoluzione che rende questi vini riconoscibili e unici, ovvero vini con una certa polpa, struttura e propensione all’invecchiamento, ma soprattutto vini che escono completamente dalla logica delle denominazioni per creare un filone e uno stile al di fuori dei controlli, come una ribellione alla certificazione. I primi esempi di SuperTuscans sono, oltre al già citato Sassicaia, anche e soprattutto il Tignanello dei Marchesi Antinori, che aggiunse al Sangiovese, sin dalle prime versioni, il Cabernet Sauvignon. Da citare inoltre tra i capostipiti, il Vigorello di San Felice, che nel 1968 azzardava già un taglio composto da Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Merlot. Questa categoria di vini ha fatto dunque la storia di una tra le migliori regioni al mondo nella produzione enologica e sono vini stupendi ed apprezzati soprattutto dal mercato estero dando sostanza alle capacità visionarie dei famosi “Illuminati di Toscana”, che più di 40 anni fa crearono queste eccellenze entrate nella storia enologica grazie al loro carattere ribelle e senza regole.